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Percorsi tematici

Questa sezione raccoglie una serie di itinerari realizzati dagli Archivi di Stato, dalle Soprintendenze Archivistiche e da Istituti esterni all'Amministrazione archivistica.

Ciascun percorso è corredato da una scheda descrittiva con un rimando al sito dell'Istituto che lo ha realizzato. Offre anche i collegamenti alle risorse archivistiche descritte nel SAN, ai documenti digitali e a una bibliografia. Questi ulteriori strumenti hanno lo scopo non solo di ampliare l'offerta di contenuti ma anche di facilitare l'esplorazione e la conoscenza del patrimonio archivistico.

L'utente viene guidato in itinerari di ricerca tra le fonti degli Istituti archivistici. I percorsi tematici, senza la pretesa di essere esaustivi, rispondono all'esigenza di suggerire una possibile via interpretativa che permetta di orientarsi allinterno di una determinata materia.

 
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"Là, vicino San Giovanni". Via Tasso, la prigionia ed il terrore nazista a Roma

 
 

Descrizione

Percorso tematico relativo al funzionamento e alla gestione del Carcere di Via Tasso.
Vengono inoltre fornite notizie sul reparto tedesco del carcere di Regina Coeli, sul Tribunale militare tedesco di Roma e sulla Pensione Jaccarino. La stretta collaborazione tra questi quattro istituti ha generato sofferenza e perdite di vite umane di chi ha creduto e lottato per la liberazione del Paese dal nazi-fascismo.
I documenti – digitalizzati dal CNR - appartengono alla sezione Bacheche del Fondo istituzionale del Museo storico della Liberazione di via Tasso.

 

Il patrimonio documentario del Museo storico della liberazione è stato inventariato dalla dott.ssa Alessia Glielmi.

Percorso tematico a cura di Valentina Cioffi.

 

 

A seguito dell'armistizio di Cassibile e della tempestiva occupazione nazista di Roma, l'edificio di via Tasso divenne sede del Comando esterno di Roma della Polizia di sicurezza tedesca e del servizio di sicurezza (Sicherheitdienst polizei - Sipo, Sicherheitsdienst - Sd) sotto il comando del tenente colonnello Herbert Kappler.
Gli Aussenkommando, commissariati di polizia, avevano poteri molto estesi: i cittadini fermati potevano essere trattenuti in stato di arresto fino a tre settimane, soprattutto se sospettati di essere utili per fornire informazioni sulle organizzazioni clandestine di militari e partigiani, su ebrei, su prigionieri alleati evasi e renitenti alla leva, non risparmiando le donne o gli uomini di chiesa colpevoli di aver sostenuto la lotta clandestina.
Il carcere di Via Tasso collaborava strettamente con le questure italiane e con il Tribunale militare tedesco.
Il Sicherheitsdienst (servizio di sicurezza) era il servizio di intelligence all'interno delle SS che, dal 1932 al 1945, lavorava all'individuazione dei reali o potenziali nemici del nazismo e procedeva all'eliminazione di questi oppositori.
La facciata principale dell'edificio di Via Tasso aveva due ingressi, contrassegnati dai numeri 155 e 145; il civico 145 fu interamente trasformato in carcere e l’edificio venne isolato dal quartiere mediante una difesa di cavalli di frisia: i civili potevano camminare solo sul marciapiede opposto all'ingresso del carcere. Il fine delle forze naziste stabilite a Via Tasso era quello di raccogliere informazioni militari sui movimenti delle forze alleate; sopprimere ogni forma di Resistenza e collaborazione con gli alleati; fare controspionaggio e costituire “quinte colonne”.
L’organico del carcere contava circa 70 uomini che potevano avvalersi anche della collaborazione delle forze di polizia italiane. Quest’ultime, in molti casi, di fronte alle “ingerenze” e al controllo della polizia nazista, si ponevano in una posizione ambigua, facendo il così detto doppio gioco, in modo da coadiuvare la lotta clandestina senza arrivare ad uno scontro aperto con le forze naziste. Di altro tenore era invece la collaborazione di alcuni italiani che si mettevano al servizio del carcere presentandosi nella veste di delatori, spinti da convinzioni e affinità politiche o per avere semplicemente dei vantaggi.
Quando qualcuno veniva arrestato subiva il sequestro di ogni oggetto personale; doveva poi compilare una scheda matricolare con i propri dati e, dopo aver ricevuto una ciotola ed un cucchiaio di legno, raggiungeva gli altri detenuti nei piani superiori del carcere, sempre accompagnato da una guardia.
All'interno del carcere di via Tasso le 30 celle erano distribuite su cinque piani: vi erano celle di isolamento e celle di segregazione (quelle del quinto piano, celle nn. 20 e 22, erano riservate alle donne), un ufficio matricola, un'infermeria poco fornita, gabinetti comuni, locali dove si svolgevano gli interrogatori e, molto spesso, anche le torture. Sui muri delle celle di isolamento è rimasta traccia dei desideri e delle volontà di coloro che vi erano rinchiusi: la libertà, la vita, la speranza di un futuro migliore, con la consapevolezza che forse non sarebbero riusciti a vederlo di persona. I muri sono stati incisi con chiodi (probabilmente estratti da una scarpa), un frammento di legno e con il cucchiaio.
Le testimonianze, giunte fino a noi, sono costituite da un misto tra disegni e parole: un crocifisso, un calendario per non perdere la cognizione del tempo, un coniglio (un avvertimento), invocazioni religiose, frasi patriottiche, pensieri teneri per i familiari e citazioni letterarie.
Solitamente gli interrogatori si svolgevano al piano terra o al primo piano dell’edificio: i detenuti potevano essere interrogati singolarmente oppure a confronto con altri. Il prigioniero veniva sempre prelevato ed accompagnato da una sentinella e lo stesso avveniva quando veniva riaccompagnato in cella. Gli interrogatori potevano avvenire più volte al giorno, e durare anche alcune ore; i detenuti venivano picchiati e seviziati per indurli a confessare e spesso le violenze erano cosi forti che il detenuto veniva riportato in cella avvolto in una coperta e messo a terra agonizzante. Oltre alle violenze fisiche era esercitata una violenza psicologica che doveva servire da monito agli altri detenuti. Più di una volta Kappler ha pronunciato una frase che può essere letta come un elogio al coraggio e alla determinazione dei detenuti che resistevano alla violenza per non tradire il loro ideale: “vanno a morire senza averci detto niente”.
Oltre a Gianfranco Mattei, definito da Kappler “estremamente silenzioso”, che estenuato dalle torture si suicidò per non tradire i compagni, nel carcere sono morte altre tre persone: la prima vittima è stata Aldo Guadagni, partigiano, che, ucciso con due colpi di pistola alla nuca da un sottoufficiale durante un interrogatorio, venne poi lanciato dal quarto piano per simulare un suicidio; Luciano Lusana che morì durante le torture ed il suo corpo venne nascosto in una fossa comune nel cimitero di Prima Porta; Franco Sardone, aggiunto ai fucilati di Forte Bravetta, ma che sembra essere stato ucciso direttamente da Kappler.
Le notizie sui detenuti, i lori documenti e i loro oggetti personali, erano riportati con minuzia su schede prestampate, così come l'intera l'attività di gestione del carcere e degli interrogatori.
Le condizioni di vita nel carcere erano del tutto prive di ogni confort e diritto elementare: al mattino i detenuti avevano a disposizione pochissimi minuti per l’igiene e non potevano avere che pochissimi oggetti personali; la cella doveva essere sistemata ogni giorno, ovvero, doveva essere risistemato il pagliericcio e si doveva lavare il pavimento; il cibo, insufficiente e definito “ignobile”, consisteva in una brodaglia con due pezzi di pane. Il sovraffollamento, la mancanza di aria a causa delle finestre murate ed il buio, le ridotte possibilità di poter andare in bagno per i propri bisogni aggravavano sempre più le condizioni di vita dei detenuti.
Il terrore che il luogo intimava non era soltanto determinato dalle torture ma anche dal destino dei detenuti che potevano essere destinati al carcere di Regina Coeli, al Tribunale militare tedesco (con condanne al carcere in Germania o alla fucilazione a Forte Bravetta), alla deportazione, oppure, come accadde per molti, alle Fosse Ardeatine.

Passarono per il carcere di via Tasso circa duemila persone tra uomini partigiani, militari, cittadini comuni e donne (sembra che il numero di queste ammonti a 300) antifasciste o parenti degli eversivi.
Il carcere è tristemente famoso anche perché protagonista nelle dinamiche di rastrellamento del Ghetto.

Il 26 settembre 1943 Kappler convocò presso il proprio ufficio a Villa Wolkonsky il presidente della comunità israelitica di Roma, Foà, e il presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, Dante Almansi.
Kappler intimò loro la consegna di 50 chilogrammi di oro entro trentasei ore per l’incolumità di tutta la comunità ebraica. L’oro fu pesato a Via Tasso n.155 ben due volte; cosa avvenne dopo la raccolta dell’oro è cosa nota alla storia dell’umanità: soltanto sedici degli ebrei deportati sopravvissero allo sterminio, quindici uomini e una donna.
Sempre a Kappler e ai suoi uomini venne affidata la raccolta di persone di sesso maschile da sacrificare nella rappresaglia dopo l’attentato di via Rasella del 23 marzo 1944.
Nelle prigioni di via Tasso e di Regina Coeli il colonnello Kappler disponeva di molti prigionieri ma il numero non era sufficiente, per cui decise di richiedere la collaborazione del questore Caruso il quale assicurò che avrebbe fornito una lista di cinquanta prigionieri da inserire nell’elenco dei “Todeskandidaten”.
Il colonnello Kappler allora aggiunse all’elenco anche i 57 ebrei imprigionati in attesa di essere deportati e attivò i suoi ufficiali, fra tutti il capitano Erich Priebke, per la frenetica individuazione dei nomi da inserire nell'elenco, un lavoro che durò tutta la notte. Vennero aggiunti otto fascisti di religione ebraica, dieci “noti comunisti”, altri arrestati per oltraggio alle truppe tedesche, detentori di armi da fuoco, presunti appartenenti a movimenti clandestini. Quando il colonnello Kappler apprese della morte del trentatreesimo soldato tedesco ferito in via Rasella prese l'iniziativa di comprendere nella lista dei condannati a morte altri dieci ebrei arrestati nelle ultime ore dopo il completamento dell'elenco iniziale. Dopo aver stilato l’elenco, il colonnello Kappler ed i suoi uomini ebbero l’incarico di eseguire le fucilazioni, a cui il capo della Gestapo avrebbe dovuto partecipare personalmente per "dare l'esempio".
Il 3 giugno 1944, il giorno prima dell’arrivo delle forze alleate a Roma i tedeschi abbandonarono il carcere. Il 4 giugno l’edificio di via Tasso viene assaltato dalla folla e vengono liberati gli ultimi prigionieri chiusi ancora nelle loro celle, mentre gli altri detenuti prelevati dai tedeschi in fuga trovarono la morte in località La Storta.

Regina Coeli a gestione tedesca
Dopo l’8 settembre e sino alla fine della guerra, anche il terzo e il sesto braccio del penitenziario di Regina Coeli vengono occupati dal Comando tedesco. Anche questo carcere, così come quello di via Tasso, ospitava le persone arrestate dai tedeschi e dai fascisti della Repubblica di Salò. I detenuti spesso erano persone appartenenti al Partito d'azione, al Partito comunista, alla Democrazia cristiana, ma anche disertori, madri e padri di famiglia, preti, studenti, ebrei, operai e rampolli di famiglie aristocratiche che lottavano per la libertà.
Le condizioni di vita erano durissime ed il sesto braccio era riservato ai prigionieri politici.
I nazisti di solito trasferivano dal carcere di via Tasso a Regina Coeli i prigionieri già stremati dalle torture, quelli che non ritenevano più utili per ottenere informazioni.
Poco dopo l'arrivo degli alleati i nazisti cominciarono ad eseguire la ritirata, sostituiti nella custodia del carcere da reparti provenienti dall'Alto Adige. Il 4 giugno il Comitato di liberazione nazionale decretò l'immediata scarcerazione dei prigionieri politici e la folla romana accorse a liberare i prigionieri.
 
Feldgericht
Il tribunale militare tedesco era situato a Roma in via Locullo ed era un luogo famoso per le torture inflitte ai partigiani all'interno dei suoi locali in tempo di guerra. Durante l'occupazione nazista di Roma il Feldgericht era il tribunale chiamato a giudicare gli imputati dopo le inchieste condotte dalla polizia tedesca. I processi duravano solitamente una manciata di minuti, spesso alla presenza di avvocati italiani di fede fascista. Solitamente le sentenze prevedevano la condanna capitale con fucilazione a Forte Bravetta o la deportazione in Germania, anche se molte esecuzioni venivano probabilmente eseguite con il solo ordine emesso dal comando delle SS di via Tasso.
 
La pensione di Koch e la sua banda
La pensione Jaccarino era una tranquilla pensione gestita dal signor Carlo, fino a quando, alla mezzanotte del 21 aprile 1944, venne requisita da Pietro Koch e dalla sua banda. Pietro Koch era un collaborazionista di fiducia delle forze naziste di Via Tasso. A capo di un reparto speciale di polizia della RSI, noto come Banda Koch, si macchiò di numerosi crimini ai danni dei partigiani e degli antifascisti. Koch e la sua banda consegnarono 29 persone alla polizia di Via Tasso per la formazione dell’elenco utile alla rappresaglia tedesca, in seguito all’attentato di via Rasella. All'indomani della liberazione, nei locali abbandonati dell'edificio, si trovarono tutti gli strumenti di tortura utilizzati dai carnefici.
Sembra che Koch fosse infatti un esteta della tortura e che provasse un estremo piacere alla vista del sangue e della sofferenza fisica altrui, per questo motivo alcuni prigionieri sostennero che era meglio stare a via Tasso piuttosto che alla pensione di Koch.