Gli a Prato sono una tra le più note famiglie trentine. Originari dalla Lombardia, si distinsero in Trentino già nel Quattrocento per le loro attività imprenditoriali e commerciali che li portarono a formare un importante patrimonio terriero e, anche attraverso oculate politiche matrimoniali, a occupare un posto in vista nella società cittadina (1). Tra i suoi componenti si trovano, nel corso dei secoli, religiosi, militari, letterati, benefattori, irredentisti, studiosi ed enologi. Dinasti di Segonzano dalla prima metà del Cinquecento, elevati al rango di baroni nel 1637, le loro vicende rappresentano un interessante percorso che attraversa la storia "ufficiale" degli avvenimenti locali ed europei e si intreccia a quella "privata", intima, personale di una famiglia.
Probabilmente fu Antonio (figlio di Mariano?), proveniente da Barzio in Valsassina (Lecco), il primo a trasferirsi a Trento nella prima metà del XV secolo. La prima notizia relativa alla sua persona si trova in una pergamena del 1452, riportante il contratto di matrimonio di suo figlio Geroldo, nella quale Antonio risulta già defunto (2).
La Valsassina era nota fin dall'antichità per i suoi giacimenti di ferro, di rame e di argento. Scrive lo studioso Pietro Pensa: "In un ciclo di lavoro degno di un'epopea, il metallo valsassinese, cavato a oltre 2000 metri di altezza e portato a valle con fatiche inenarrabili, trasformato nelle fucine in manufatti di ogni genere, alimentò per secoli la celeberrima «arte armoraria» di Milano. Dai più lontani tempi sino al 1800 ogni recesso di montagna fu battuto dai ricercatori, ansiosi di scoprire nuovi filoni metalliferi" (3). Leonardo da Vinci, nel Codice Atlantico, fa cenno ad un insediamento denominato Prato San Pietro: "Tre miglia piulla si truova li edifiti della vena del rame e dello arzento presso a una terra detta pra sancto petro e vene di fero e cose fantastiche" (4). E' molto probabile che Antonio, appellato nei documenti "parolarius" (5) (dal dialetto 'parol', paiolo in rame quindi per attrazione calderario, ramiere cioè artigiano che fabbricava caldaie, pentole; artigiano che lavora il rame e altri metalli), avesse accesso alle miniere di rame (o addirittura ne possedesse) e si fosse dedicato al commercio che lo aveva portato a esplorare e a fornire altri mercati, lasciandosi alle spalle il luogo di origine. Si tratta certamente solo di un'ipotesi sulle origini della famiglia, diversa da quella formulata da Vincenzo a Prato (1818-1906) che impiegò i suoi anni di pensione occupandosi, tra le altre cose, di ricerca genealogica. Egli infatti fece risalire la stirpe degli a Prato ai tempi dei Normanni che, all'inizio dell'XI secolo, si trasferirono nell'Italia meridionale (6). "Distintisi i Prato nelle armi, e col consiglio ebbero dai Principi normanni molte terre in feudo presso Brindisi e Lecce ove si accasarono e salirono agli onori fungendo nei supremi uffici" (7). Vincenzo intrattenne una corrispondenza con i discendenti dei Prato di Arnesano (Lecce) cercando un legame, ma il nipote Giovanni Battista (1923-2002) escluse qualsiasi parentela (8). Ancora Vincenzo collegò la famiglia a quella dei conti da Prato in Toscana ai quali l'imperatore Ottone IV, con un diploma datato 4 novembre 1209, confermò degli antichi possedimenti (9). Anche per questa ipotesi, tuttavia, non ci sono riscontri.
Quali che fossero le origini, Antonio, stabilitosi a Trento, si sposò (10) ed ebbe due figli: Giovanni e Giroldo. Il primo si trasferì a Pergine Valsugana dando inizio a un ramo collaterale che si estinse nei primi anni del Settecento (11), mentre Giroldo (sec. XV inizio-1491) divenne il capostipite degli a Prato tutt'ora esistenti. Il primo documento presente in archivio in cui si nomina Giroldo è il contratto di matrimonio che egli stipulò con la prima moglie Antonia, figlia di Bartolomeo da Pergine, abitante a Trento, il 28 agosto 1452 (12). L'ammontare della dote denuncia e dimostra l'alto gradino economico della coppia: la sposa infatti portò in dote una casa situata a Trento nella contrada denominata "Cantone", un fondo recintato e 190 ducati d'oro, mentre lo sposo donò alla moglie, a titolo di controdote (13), 220 ducati. Negli atti Giroldo viene detto "stacionerius" (o "stazionerius"), che indica chi esercita il commercio in un luogo fisso (statio: bottega), quindi 'mercante', appartenente dunque a quel gruppo sociale economicamente più dinamico che nel basso Medioevo si fece protagonista della rinascita della società europea. Giroldo amministrava e investiva una gran quantità di denaro: infatti dal 1461 al 1491 (14), anno della sua morte, acquistò diversi appezzamenti di terreno situati nei territori di Trento, di Cognola e di Segonzano, diede alcuni di questi in locazione, costituì censi (15) e divenne proprietario di quattro case nella città di Trento (16)...