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Archivio di Stato di Venezia

Denominazione:

Archivio di Stato di Venezia  Linked Open Data: san.cat.sogC.4861

 

Tipo Soggetto Conservatore:

- archivio di Stato

 

Descrizione:

Fin dal sec. IX - rileva Vittorio Lazzarini [V. LAZZARINI, Originali antichissimi della cancelleria veneziana (Osservazioni diplomatiche e paleografiche), in Nuovo archivio Veneto, n.s., VIII (1904), pp. 199-229; ID., Un privilegio del doge Pietro Tribuno per la badia di S. Stefano d'Allino, in Atti dell'istituto veneto di scienze, lettere ed arti, LXVIII (1908-1909), II, pp. 975-993, entrambi ristampati in ID., Scritti di paleografia e diplomatica, Venezia 1938 e Padova 1969 2] - sia pure attraverso atti tramandati in copia, affiorano tracce di una incipiente cancelleria veneziana, allora forse collegata alla cappella ducale di S. Teodoro e poi di S. Marco e ispirata alla cancelleria imperiale e a quelle regie di Occidente; e dove vi sia cancelleria, vi è di conseguenza anche archivio. L'incendio provocato nel 976 dal popolo in rivolta contro il doge Pietro Candiano IV, con il palazzo e la chiesa, distrusse anche i documenti: " constet cunctas esse cartulas ab igne crematas, tam vestras quam similiter et nostras ", affermano il 12 ott. 977 i capodistriani nel rinnovare il patto con Venezia [Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al mille, a cura di R. CESSI, II, Padova 1942 (rist. anastatica, Venezia 1991), p. 106, con indicazione della precedente bibliografia] . Ancora alla fine del Trecento le pergamene più preziose erano affidate alla custodia dei procuratori di San Marco, compito condiviso dal cancellier grande. Nei primi decenni del Duecento i documenti importanti e soprattutto quelli di diritto internazionale cominciarono ad essere trascritti nei registri dei Pacta, cartulari simile a quelli degli altri comuni, rinnovato con più accurati criteri archivistici alla metà del Trecento nel Liber albus e nel Liber blancus per volontà del doge Andrea Dandolo, cronista, legislatore, giurista, amico del Petrarca. Durante il sec. XIII si cominciò inoltre a tener registro delle deliberazioni dei consigli, tanto numerose che nel 1283 il doge Giovanni Dandolo ritenne necessario formare una raccolta sistematica di quelle del maggior consiglio ancora in vigore, precoce esempio di una tra le tante " compilazioni " di leggi veneziane, operazioni di significato archivistico oltre che giuridico. superfluo insistere sul fiorire delle magistrature e quindi dei fondi e delle serie archivistiche a partire dal sec. XIV. Le cancellerie, dipendenti dal cancellier grande, da intendersi al tempo stesso come luogo, struttura burocratica e archivio, erano due, cancelleria inferiore e cancelleria ducale, poi divenute tre per la separazione da quest'ultima dalla cancelleria secreta. La cancelleria inferiore, così chiamata dalla sua ubicazione all'interno del palazzo, era retta da due notai (cancellieri inferiori) nominati dal doge ma dal 1523 confermati dal collegio. oltre alle serie afferenti alle poche attribuzioni amministrative e giurisdizionali direttamente esercitate dal doge, con altri documenti connessi alla carica dogale, e alle serie di sua specifica competenza, almeno dal 1316 custodiva le imbreviature dei notai veneta auctoritate cessati dall'esercizio professionale o assenti dalla città (1364), e in seguito anche quelle dei notai di autorità imperiale o apostolica, e le cedole testamentarie; lo stato intendeva così tutelare le manifestazioni di volontà e i diritti dei privati, evitando la dispersione o il cattivo uso delle relative fonti giuridiche. La cancelleria ducale, il cui personale era formato da notai e segretari ducali, derivava il suo titolo dal doge in quanto simbolo e rappresentante dello stato e conservava gli archivi inerenti all'attività politica, amministrativa e di governo di maggior consiglio, minor consiglio, signoria, collegio, quarantia e senato, ed ogni altro complesso documentario a tale attività collegato. Con " parte " del maggior consiglio del 23 apr. 1402 venne distinta e separata dalla ducale la cancelleria secreta o semplicemente secreta, alla quale spettavano le serie archivistiche di natura politica e altro materiale meritevole di maggior riservatezza; il 31 ott. 1459 il consiglio di dieci, allora in fase di incremento del suo potere, estese la propria giurisdizione sulla secreta, definita cor status nostri, e sulla carriera degli addetti. Dal 1601 fu nominato, a vita, un patrizio sopraintendente alla secreta, che spesso era anche storiografo pubblico. Consiglio di dieci e inquisitori di stato conservavano invece presso di sé il proprio archivio. Altro grande complesso documentario, finalizzato alla tutela dei diritti privati e pubblici garantiti dalla funzione giurisdizionale, era, a palazzo ducale, l'" archivio delle scritture vecchie di palazzo " che raccoglieva i documenti delle curie civili di prima istanza e di qualche altro ufficio dotato di giurisdizione; dal 1671 dipendeva dai conservatori ed esecutori delle leggi, magistratura di controllo, in determinati ambiti, sul notariato e le professioni forensi. Ogni altro organo invece, ivi compresi zecca e arsenale, conservava presso di sé la propria documentazione, a palazzo o dove avesse sede: negli edifici intorno alla piazza o nelle sue immediate adiacenze per gli uffici di San Marco, nei pressi del ponte per quelli di Rialto de ultra canale, a carattere soprattutto finanziario. Dopo l'incendio del " santuario " i di S. Marco del 1231, in cui furono distrutti ducalia privilegia, disastrosi per gli archivi furono gli incendi di Rialto del 10 genn. 1514 che distrusse tra l'altro l'estimo più antico, e quelli di palazzo ducale dell'11 mag. 1574 e 20 dic. 1577 che danneggiarono notevolmente le cancellerie ducale e secreta; in particolare andarono allora perduti i primi quattordici registri cartacei delle deliberazioni del senato (" misti combusti "), escluso un frammento, le serie di filze delle stesse deliberazioni e quelle dei dispacci di ambasciatori e pubblici rappresentanti fin verso la metà del sec. XVI, salvo poche eccezioni. Nel 1577 bruciarono anche molti protocolli notarili (" scritture dei notai morti ") fin verso la metà del Cinquecento. A parte queste e altre minori traversie, e tolti gli inevitabili episodi di trascuratezza, disordine, scarti maldestri, perdite di documenti qua e là verificatesi, gli archivi Veneziani e in primo luogo quelli che si identificavano con le cancellerie giunsero in larga misura indenni al maggio 1797, rispecchiando il fluire di una storia immune nell'intero suo arco da sconvolgimenti istituzionali. Con la fine della serenissima il 12 mag. 1797 venne meno una stabilità istituzionale e archivistica millenaria e si prospettarono rischi e problemi inediti per Venezia. Come suole avvenire in circostanze consimili, gli archivi, sedimentati e conservati da sempre, cessarono di appartenere ad organi vigenti, quale testimonianza e strumento almeno potenzialmente utile del loro operare, per ridursi a ingombrante memoria di un passato che aveva compiuto il suo ciclo e al quale si dovevano sostituire nuovi ordinamenti. Ma pur nelle vicende rivoluzionarie e negli alterni cambiamenti di regime, con tutte le conseguenze negative di asportazioni di intere serie ed archivi, di spostamenti, distruzioni e dispersioni di materiale - va almeno citato lo scempio delle carte degli inquisitori di stato perpetrato nei primi momenti e aggravato da un successivo brutale scarto - poterono tuttavia agire in senso positivo talune caratteristiche proprie della situazione veneziana. Il formale trapasso di poteri dal maggior consiglio alla municipalità provvisoria, salva l'approvazione del Bonaparte, aveva legittimato il nuovo governo quale successore dell'antica repubblica. Nel fervore di rinnovamento del breve periodo democratico, in effetti di occupazione francese, fu avvertito il senso di sostanziale continuità delle funzioni dello Stato, quali ne fossero le forme istituzionali legittime; nello svolgimento di tali funzioni gli archivi delle cessate magistrature, per lo meno di alcune di esse e nella loro parte recenziore, erano riconosciuti come inderogabile precedente e spesso come titolo e fondamento di pubblici e privati diritti. Altrettanto dicasi rispetto ai governi successivi. In più occasioni documenti di uffici della repubblica furono ripartiti tra gli organi che erano subentrati nelle loro competenze in un quadro istituzionale del tutto diverso; anche così si spiegano talune sovrapposizioni tra fondi archivistici dall'uno all'altro regime, a parte il caso di qualche ufficio che poté prolungare ancora per qualche anno la propria attività. Giocò infine più o meno apertamente anche un altro elemento: la consapevolezza che gli archivi erano fonte di storia, e non solo di una città e del suo pur vasto stato da terra e da mar, ma storia d'Europa e del mondo grazie alle relazioni commerciali, politiche, diplomatiche dapprima del comune Veneciarum, poi della repubblica. Era ancor vivo il mito di Venezia, della perfezione delle sue istituzioni, della sua diplomazia, del suo buon governo. Non a caso quando, a partire dal 1825 con l'erudito Emanuele Antonio cicogna e dal 1829 con Leopoldo von Ranke - che per ottenere l'autorizzazione era dovuto ricorrere all'imperatore Francesco I - l'Archivio dei Frari, dapprima tra mille remore, poi sempre più generosamente si aprì alla consultazione del suo enorme ed intonso patrimonio documentario, principali frequentatori ne furono i dotti stranieri, nell'intento di pubblicare le grandi collezioni di documenti relativi alla storia dei rispettivi paesi, di esplorare i dispacci e le relazioni degli ambasciatori, di capire il funzionamento del meccanismo istituzionale veneziano. Ma furono proprio l'ammirazione per la serenissima e la sua diplomazia, la suggestione del suo mito, l'importanza riconosciuta ai suoi documenti militari, quali i disegni dell'Arsenale, i plastici delle fortezze, la cartografia conservata nella camera dei confini, a determinare i pericoli maggiori: le reiterate spogliazioni - deportazioni le definisce efficacemente Francesca Cavazzana Romanelli [F. CAVAZZANA ROMANELLI, Archivistica giacobina..., vedi bibliografa.] - di interi settori degli archivi Veneziani con particolare riferimento alla secreta, via via trasportati a Parigi, a Milano, a Vienna dai successivi dominatori. segnature straniere tuttora presenti ad esempio sulle filze dei dispacci e citazioni del tempo serbano traccia di tali ripetuti trasferimenti. Per fortuna praticamente tutto il materiale documentario poté in seguito tornare alla propria sede, in applicazione di trattati e convenzioni internazionali che affrontarono il problema in chiave generale, non limitatamente a Venezia, offrendo inoltre ampio contributo allo sviluppo della dottrina archivistica. Trascurando episodi minori, le tre grandi depredazioni, estese a manoscritti della Biblioteca marciana, a quadri e opere d'arte, ebbero luogo nel 1797 per mano dei francesi, nel 1805 e 1866 ad opera degli austriaci; all'atto di abbandonare il veneto nel 1866 questi portarono con sé anche molti documenti dei loro principali uffici, soprattutto carte riservate. La questione delle restituzioni venne sollevata tra le potenze contraenti f n dal trattato di Campoformido (17 ott. 1797) all'art. XIII, rimasto però ineseguito; il materiale rientrò da Parigi solo in seguito al trattato di Vienna del 1815. Con il trattato di Presburgo del 5 dic. 1805 il Veneto passò dall'Austria alla Francia; un articolo imponeva la restituzione delle 44 casse di documenti portati a Vienna qualche mese prima. Questi tornarono infatti, ma per esser trattenuti a Milano, capitale del regno d'Italia, presso la biblioteca di Brera, da dove furono nuovamente spediti a Vienna in due fasi, nel 1837 e 1842. Cospicue restituzioni si ebbero nel 1868 in esecuzione del trattato di Vienna del 3 ott. 1866, art. XVIII, e della convenzione italo-austriaca di Firenze del 14 lu. 1868 [Oltre alle opere citate in bibliografa, R. BLAAS, Die Archivierhandlungen mit Italien nach dem Wiener Frieden von 1866, in Mitteilungen des Osterreichischen Staatsarchivs, 28 (1975), pp. 338-360] . La situazione venne finalmente risolta dopo la prima guerra mondiale, nel 1921, in applicazione degli artt. 191-196 del trattato di San Germano (10 sett. 1919) e della convenzione italo-austriaca di Vienna del 4 mag. 1920. Questa recepiva e ratificava l'accordo concluso fin dal 26 mag. 1919 tra le due delegazioni, molto importante dal punto di vista del dibattito archivistico. Con rigoroso criterio scientifico venne infatti sancito il principio dell'integrità dei fondi archivistici e della intrinseca loro connessione con l'organo produttore e con il territorio dove si erano formati, indipendentemente dalla circostanza che, per la competenza di tale organo, il loro contenuto possa riferirsi ad altri territori; su queste basi teoriche, al di là delle legittime rivendicazioni e restituzioni, si poté evitare fossero smembrati, come da taluni stati era preteso, i fondi degli organi centrali del dissolto impero austro-ungarico [R. SCAMBELLURI, Un archivista: Roberto Cessi, in Miscellanea in onore di Roberto Cessi, I, Roma 1958, pp. XXV-LIII] . Quanto alla sistemazione degli archivi, antichi e moderni, già agli albori del sec. XIX, durante la prima dominazione austriaca, andava maturando il progetto della loro concentrazione in un archivio generale, balenato fin dal 1797 nei brevi mesi della democrazia. Era questa l'aspirazione di Jacopo chiodo [I. FERIRO, Jacopo Chiodo, fondatore dell'Archivio di Stato di Venezia, in Ad Alessandro Luzio gli Archivi di Stato italiani. Miscellanea di studi storici, I, Roma 1933, pp. 363-369] , personaggio che nella sua carriera sembra quasi rappresentare la continuità degli archivi attraverso i mutamenti politici. Entrato a far parte nel 1779 della burocrazia veneziana nel magistrato della compilazione delle leggi, egli riuscì a mantenere l'incarico di compilatore e archivista e a conservare le peculiari carte del suo ufficio attraverso i cambiamenti di regime. Nell'aprile 1803 ebbe l'incombenza di formare una " collezione per materie di tutte le leggi, decreti, terminazioni disciplinari e di massima della cessata repubblica " (forse l'attuale prima serie della compilazione leggi ), " grande ed utilissima operazione ch'era un apparecchio alla concentrazione di tutti gli antichi archivii, meditata dalla sapiente ponderazione " del governo [Supplica presentata dal chiodo al viceré il 1 0 febbr. 1822, in AS Venezia, A R. Governo, a. 1823, fasc. XII 6/2, b. 2167, dove si trovano in copia i documenti relativi all'istituzione dell'Archivio generale veneto più avanti citati] . Il piano allora esteso fu approvato con modifiche a Venezia (17 dic. 1804) e a Vienna (22 febbr. 1805), ma non produsse per il momento alcun esito concreto. Aggregato il veneto al regno d'Italia, all'inizio del 1807 fu decisa la riunione degli archivi della repubblica e di quelli successivi in tre diverse sedi, situate in edifici acquisiti al demanio con le soppressioni delle corporazioni religiose e laicali, cercando di suddividerli, secondo una visione a posteriori, nei tre principali rami dell'attività di governo e amministrativa: gli archivi politici nella scuola grande di S. Teodoro, sotto la direzione di Carlo Antonio Marin - fatto rivivere da Ippolito Nievo nelle Confessioni di un italiano - con il Chiodo quale coadiutore; i giudiziari nel convento di S. Giovanni Laterano; i demaniali o fiscali (finanziari) in un palazzo a San Provolo, solo in parte appartenente al demanio. L'archivio notarile, riorganizzato secondo la normativa napoleonica, si trovava allora nelle Sansoviniane " fabbriche nuove " di Rialto e subì in seguito vari spostamenti. Il principale era l'archivio politico di S. Teodoro, presto allargatosi ad altri cinque edifici. Tornata l'Austria nel 1814 il governo, che sempre più spesso doveva far ricorso a tale documentazione quale precedente, tentò con decreto del 6 sett. 1815 di ridurlo a sezione della propria registratura, cioè del proprio archivio corrente, da quella dipendente, con la perdita di ogni autonomia amministrativa e tecnica. Il rischio fu evitato grazie al chiodo - meritatamente definito fondatore dell'Archivio veneziano - che reggeva provvisoriamente l'istituto di S. Teodoro dopo la morte del Marin (17 apr. 1815). Con una supplica del 25 nov., consegnata personalmente all'imperatore, presente in quei giorni a Venezia, egli tornava a sollecitare l'istituzione di un archivio generale sull'esempio di quello di S. Fedele a Milano, confidando di esserne nominato direttore. ottenne così i due sovrani rescritti di gabinetto del 13 dic. 1815, l'uno dei quali sanciva l'indipendenza dell'archivio di S. Teodoro dalla registratura 'governiale', e gliene affidava la direzione con titolo di archivista (quello di direttore, equiparato a segretario di governo, sarebbe venuto anni dopo); l'altro disponeva la riunione dei fondi componenti detto istituto in un'unica idonea sede che egli era incaricato di scegliere insieme ad un tecnico, presentando in termini brevissimi il progetto di adeguamento dell'edificio e una proposta di pianta organica del personale. Era l'istituzione dell'Archivio generale veneto, atto di nascita dell'attuale Archivio di Stato di Venezia. Quanto alla ricerca dell'immobile, caduta l'ipotesi del monastero di S. Zaccaria cui da tempo si pensava e dove già erano stati portati dei documenti, ed esaminate altre possibilità, venne prescelto nel 1817 il vastissimo convento già dei minori conventuali a S. Maria Gloriosa dei Frari, massimo insediamento francescano a Venezia detto la Ca' Granda, con le contigue confraternite di S. Antonio e dei Fiorentini, da cui l'istituto, ivi sempre rimasto, prese il tradizionale appellativo di Archivio dei Frari. Il massiccio concentramento iniziale delle carte, comprese quelle disperse tra i vari uffici a titolo di precedente senza riguardo all'integrità dei fondi originari e quelle del primo ottocento, si compì tra 1817 e 1822 - l'anno dopo l'Archivio poté dirsi funzionante - e fu poi continuato anche per il materiale ottocentesco dal Chiodo e dai suoi successori, in particolare Teodoro Toderini e Bartolomeo Cecchetti [S. CARBONE, Bartolomeo Cecchetti e l'Archivio di Stato di Venezia, in RAS, XVII (1957), pp. 243-259] dopo l'unità. Nel 1884 fu acquisito per disposizione di legge l'archivio notarile fino al 1830, a conclusione di un lungo dibattito su scala nazionale al quale il Cecchetti aveva vivacemente partecipato. Problemi cruciali, cui egli lavorava da tempo, erano stati per il Chiodo non solo il censimento e la riunione dei fondi, ma ancor più il tentativo di organizzarli secondo un ideale piano sistematico e di dar loro una dislocazione negli ambienti dei Frari tale da riprodurre anche visivamente la struttura istituzionale veneziana. Nello sforzo di individuare lo schema logico sotteso a tale struttura emergeva però la diversità tra un organismo statuale formatosi grado a grado in maniera pragmatica, senza un disegno preordinato ma quasi con una sua legge intrinseca capace di adeguarsi alle circostanze, e le razionali geometrie del moderno tipo di amministrazione definitivamente introdotto in Italia dal regime napoleonico. Attraverso ulteriori vicende l'impostazione data all'Archivio nel corso dell'Ottocento e anzitutto dal Chiodo (ricostruzione delle cancellerie ducale e secreta, raggruppamento dei fondi antichi secondo plausibili aree di prevalente competenza, di quelli moderni per ramo di amministrazione) è ancora di massima quella attuale. Allo stesso periodo, fino all'inizio di questo secolo, sebbene il lavoro non sia mai stato interrotto, andiamo debitori della maggior parte degli inventari, indici (nome qui tradizionalmente esteso anche agli inventari), schedari e altri mezzi di corredo e chiavi di ricerca non coevi ai fondi di cui l'istituto tuttora dispone; strumenti certamente perfettibili e spesso ormai inadeguati, senza i quali tuttavia sarebbe arduo l'accesso a molti archivi. Alla concentrazione dei fondi si accompagnò inevitabilmente lo scarto, anzi - come si diceva - l'epurazione o l'espurgo del materiale giudicato ininfluente ai fini amministrativi e della ricerca storica; lavoro protrattosi a lungo ed eseguito spesso con mano pesante, secondo i criteri del tempo, a danno soprattutto delle carte contabili e finanziarie e degli archivi moderni. Quanto ai riordinamenti, nelle sue varie pubblicazioni sull'Archivio, allora in fase di grande attività, il Cecchetti faceva una curiosa distinzione tra ordinamento materiale (o reale o di fatto) e ordinamento scientifico. Il primo comprendeva una serie di operazioni che andavano dalla preliminare spolveratura all'esame e identificazione dei singoli pezzi, rimuovendo quelli di diversa provenienza, alla ricomposizione del fondo possibilmente secondo la disposizione originaria, al condizionamento esterno e alla numerazione progressiva delle unità, fino alla stesura di un inventario più o meno diffuso o succinto; in sostanza l'iter di un ordinamento storico nelle sue diverse fasi, svolto per lo più in maniera molto affrettata, data la mole di materiale da affrontare. L'ordinamento scientifico doveva consistere invece nella compilazione di schedari, indici, rubriche, spogli, regesti, transunti, sino alla trascrizione dei documenti e alla decifrazione di quelli in cifra; strumenti intesi a facilitare il reperimento di atti e di notizie, da organizzare poi per materia e per alfabeto in vista di un catalogo sistematico esteso via via all'intero istituto, secondo le direttive di un improbabile " ordinamento Scientifico " delineate nel 1869 dall'allora direttore Tommaso Gar. L'esempio cui si guardava era quello milanese, ben consapevoli tuttavia che imprese del genere erano ipotizzabili a Venezia solo a livello di chiavi di ricerca, senza pretendere di alterare l'ordine reale delle carte; troppo complessi e ordinatamente organizzati al loro interno sono infatti i fondi archivistici Veneziani, formati in gran parte da registri e filze rilegate, per consentire interventi demolitori. I pochi tentativi messi in atto in casi particolari (ad esempio nella miscellanea civile e penale dell'avogaria di comun) non diedero buon risultato. D'altra parte, va riconosciuto che l'aspirazione a possedere mezzi di immediato accesso all'informazione archivistica, ferma restando la struttura del fondo, risaliva al secolo dei lumi e non era rimasta estranea agli organi Veneziani, anche per merito del loro personale " cittadinesco ", implicato nel quotidiano confronto con le carte: basti citare ad esempio la Nuova serie nel fondo dei Cinque savi alla mercanzia , composta da fascicoli settecenteschi di copie riunite per materia e in ordine alfabetico, oppure i repertori alfabetici dei Provveditori alla sanità e quello più semplice del Provveditore all'Adige ; a non voler ricordare, in altro ambito, i tanti catastici di archivi monastici e conventuali, delle Scuole grandi e delle stesse casate patrizie, dove l'ordinamento razionale fu applicato a volte direttamente sui documenti. A ben guardare, ad analoghe esigenze si cerca oggi di rispondere mediante l'informatica. " Depuis quelques années les Archives de Venise ont acquis la plus grande vogue ", scriveva nel 1870 Armand Baschet, dedicando a " Historiens, curieux, chercheurs et visiteurs " un capitolo del suo volume sulla cancelleria secreta che è anche storia e descrizione dell'Archivio e testo di istituzioni veneziane, per giungere poi a illustrare le relazioni veneto-francesi e le fonti relative [A. BASCHET, Le Archives de Venise..., p. 3, vedi bibliografia.] . A cominciare dal saggio di Giuseppe Cadorin [Vedi bibliografia] , che si rifaceva nel 1847 al piano sistematico del Chiodo, si moltiplicarono nel corso dell'ottocento descrizioni, illustrazioni, vere e proprie guide più o meno ampie dell'Archivio, nella sua valenza di edificio monumentale, istituto, insieme di fondi archivistici. Ne furono autori dotti italiani e stranieri, l'attenzione rivolta anzitutto a quanto riguardasse i rispettivi paesi, e ovviamente archivisti, in particolare il Toderini e l'infaticabile Cecchetti in un'epoca molto fervida; in qualità di sovrintendente agli archivi veneti - incarico conferito al direttore dell'Archivio di Stato con r.d. 31 mag. 1874 - il Cecchetti estese quanto più possibile la sua attività e le sue indagini ai territori dell'antico Stato da terra e da mar. Altre descrizioni furono elaborate in questo secolo, talora all'interno di opere generali oppure su argomenti specifici. Quasi a coronamento di tanto lavoro venne pubblicata nel 1937-1940, a ridosso della seconda guerra mondiale con tutte le difficoltà conseguenti, l'opera fondamentale di Andrea Da Mosto [A. DA MOSTO, L'Archivio di Stato di Venezia. Indice generale storico descrittivo e analitico, voll. 2, Roma 1937-1940. Si osservi la definizione di " indice generale " per quella che è in realtà una guida e così viene comunemente definita] , pietra miliare nella conoscenza dell'Archivio, da cui la presente Guida prende le mosse e alla quale anche in seguito si dovrà costantemente far ricorso. A distanza di oltre mezzo secolo questa Guida ne è anzitutto un aggiornamento: quanto alla consistenza del materiale per le variazioni avvenute a motivo di versamenti, depositi, doni, acquisti, trasferimenti tra istituti; quanto alla sua descrizione per i lavori di riordinamento e inventariazione compiuti, i mezzi di corredo elaborati, la miglior conoscenza di molte magistrature e fondi archivistici, l'esperienza accumulata grazie al contributo di quanti si sono in questo tempo avvicendati nell'istituto e grazie al progredire degli studi. E' stata inoltre occasione per effettuare riscontri, rettificare inevitabili sviste, imprecisioni, refusi di stampa e per mettere a punto e aggiornare la bibliografia. In particolare nei fondi antichi sono state verificate le date, tenendo conto del more veneto (inizio dell'anno il 1 marzo), e sono state rilevate interruzioni e lacune nelle singole serie. Anche per ragioni di spazio la descrizione dei fondi non è tuttavia sempre analitica come nel Da Mosto, sebbene talora lo sia anche di più; in genere si sono elencate le serie principali, rinunciando a scendere a ulteriore dettaglio. Divergenze nei dati quantitativi (riscontrabili ad esempio nel settore delle corporazioni religiose soppresse) possono anche risalire a operazioni di riordinamento o semplicemente all'impiego di contenitori di capienza diversa. Quando vi siano diversità rispetto al Da Mosto bisogna comunque attenersi alla presente Guida. A monte di ogni guida sta la scelta del criterio in base al quale disporre ed elencare gli archivi: se cioè sforzandosi di delineare, quale si venne formando, la struttura dello Stato che li produsse, oppure secondo un modello astratto e sempre discrezionale. Il Da Mosto si attenne almeno in parte a quest'ultima soluzione, anche scostandosi in certi casi dalla reale situazione delle carte. Il primo dei due volumi è dedicato agli archivi dell'amministrazione centrale della repubblica veneta e a quelli notarili, in quanto anticamente affidati alla cancelleria inferiore. I fondi sono suddivisi in quattro settori in base alle caratteristiche istituzionali ritenute preminenti: organi costituzionali e principali dignità dello stato, organi giudiziari, finanziari, amministrativi; negli ultimi tre gruppi essi si susseguono di massima in ordine alfabetico. Il secondo volume comprende gli archivi dell'amministrazione periferica della repubblica (descritta in tutta la sua articolazione, a prescindere dalla circostanza che i fondi relativi fossero o no conservati in Archivio. Quelli che allora vi si trovavano vi erano pervenuti, salvo le carte del duca di Candia, in epoca posteriore al 1797; alcuni di essi furono in seguito trasferiti agli Archivi di Stato, frattanto istituiti, di Belluno, Treviso, Udine); gli archivi delle rappresentanze diplomatiche e consolari della repubblica (formatisi nelle rispettive sedi e parzialmente pervenuti in epoca posteriore al 1797); gli archivi dei governi succeduti alla repubblica, suddivisi in amministrativi, finanziari, giudiziari e militari; alcuni archivi di rappresentanze consolari estere a Venezia; quelli delle corporazioni religiose e laicali soppresse, degli istituti di beneficenza, delle arti; gli archivi privati; le collezioni e miscellanee. La presente Guida rispetta per quanto possibile i criteri generali fissati dalla redazione centrale per tutti gli Archivi di stato italiani. Riguardo agli archivi della repubblica, precedono quelli degli organi politico-costituzionali; seguono quelli a prevalente competenza finanziaria, quelli prevalentemente amministrativi, distribuiti a grandi linee per aree di competenza, infine i giudiziari veri e propri secondo i gradi di giurisdizione, disposti in ordine ascendente. All'interno dei vari gruppi i fondi sono stati descritti in successione cronologica, riferita all'anzianità della magistratura. Tali suddivisioni sono però di larga massima, non essendovi a Venezia chiara distinzione tra organi finanziari, amministrativi, giurisdizionali, ognuno dei quali esercitava spesso contestualmente le varie funzioni, distinguendole però nelle serie archivistiche; inoltre la collocazione attribuita a ciascun organo nell'una o nell'altra categoria non è sempre la stessa adottata dal Da Mosto. Si aggiunga che, tolti pochi uffici a circoscrizione locale, negli organi centrali non vi era separazione tra governo della città - o piuttosto della città e Dogado, territorio originario o, come si diceva, distretto di Venezia - e governo dello Stato, essendo la repubblica naturale prosecuzione e sviluppo del comune veneciarum; solo con il decreto vicereale 5 febbr. 1806 si delineò infatti il moderno comune di Venezia che conserva da allora il proprio archivio [S. BARIZZA, Il Comune di Venezia 1806-1946. L'istituzione. Il territorio. Guida-inventario dell'Archivio municipale, Venezia 1987] . seguono i pochi fondi di organi periferici e delle ambasciate e consolati della serenissima esistenti in Archivio. Nelle altre parti il testo della voce non si discosta gran che dalle direttive formulate per la Guida generale. Al di là tuttavia degli schemi redazionali, la fondamentale distinzione esistente fin dalle origini nell'Archivio di stato di Venezia, secondo la quale l'Archivio nella realtà si configura come viene imposto dalla cesura istituzionale della storia veneziana, è quella tra archivi antichi e archivi moderni. Sono archivi antichi quelli anteriori alla caduta della repubblica (12 mag. 1797), e cioè i fondi archivistici degli organi centrali, di quelli a circoscrizione limitata alla città o alla città e Dogado, gli archivi acquisiti a vario titolo dalla repubblica e, per quanto qui conservati, quelli formatisi nelle sedi delle cariche periferiche ed esterne, nonché i fondi delle corporazioni religiose (comunemente dette mani morte) e laicali soppresse nelle varie epoche, delle istituzioni di assistenza e beneficenza, e inoltre varie miscellanee e archivi di famiglie e di persone. Nel cartulare dell' abbazia benedettina di S. Maria di Sesto al Reghena [In provincia di Pordenone] , o in silvis, formato nel 1754 rilegando insieme le più antiche pergamene del monastero, si trova il primo documento originale qui conservato, una cartula testamenti riferibile all'anno 847; gli atti più remoti del monastero, a partire dal 762, sono invece universalmente riconosciuti come copie oppure suscitano notevoli perplessità. Non vi è qui un Diplomatico, bensì le pergamene sono conservate nei fondi di appartenenza, in serie separate ed anche frammiste al materiale cartaceo, con l'eccezione di alcune miscellanee. A questo proposito conviene ricordare che l'Archivio possiede, grazie alla personale attività di Luigi Lanfranchi, già direttore dell'istituto, il codice diplomatico veneziano fino al 1199 (fotoriproduzioni e trascrizioni dattiloscritte) e i regesti per fondo dei documenti del sec. XIII, strumenti da lui predisposti con il lavoro di oltre quarant'anni in vista delle edizioni del comitato per le pubblicazioni delle fonti relative alla storia di Venezia [Costituito nel 1947 tra privati, il comitato per la pubblicazione delle fonti relative alla storia di Venezia ha al suo attivo finora circa 40 volumi che saranno via via citati a luogo debito. La collezione si articola in quattro sezioni: sez. I, Archivi pubblici; sez. II, Archivi ecclesiastici; sez. III, Archivi notarili; sez. IV, Archivi privati; sez. V, Fondi vari. La si cita di seguito in forma abbreviata: Fonti per la storia di Venezia, indicando la sezione di appartenenza dei singoli volumi] . Sono archivi moderni quelli dei governi successivi alla repubblica, con l'ulteriore periodizzazione interna determinata dal loro avvicendamento e con la diversa competenza territoriale, a livello di organi centrali o periferici, conseguente alle mutate situazioni istituzionali di volta in volta verificatesi. Tale periodizzazione, seguita dal Da Mosto e nella presente Guida, è così configurata: municipalità provvisoria (democrazia) 1797-1798; prima dominazione austriaca 1798-1806; regno d'Italia napoleonico 1806-1814; seconda dominazione austriaca 1814-1848; governo provvisorio, nelle varie strutture istituzionali succedutesi, 1848-1849; terza dominazione austriaca 1849-1866; regno d'Italia, poi repubblica italiana, dal 1866. Sono compresi tra i fondi del terzo periodo austriaco quelli di organi straordinari insediati a Verona in conseguenza della rivoluzione del 1848 assicurando così la continuità istituzionale del Lombardo-veneto; le carte del governatore generale civile e militare in Verona [M. P. Pedani, Il governo del Lombardo-Veneto dal 1849 al 1866. Note archivistiche, in Archivio veneto, s. V, CXXXIV (1990), pp. 171-177.] , 1848-1857, sono invece conservate a Milano ( AS Milano ). Rientrano negli archivi moderni gli archivi catastali che hanno inizio in epoca napoleonica, con preliminari nel primo periodo austriaco; a parte talune iniziative locali, la repubblica veneta non aveva infatti un catasto generale di tipo moderno. si aggiungano gli archivi privati di persone e di famiglie e le miscellanee. Rappresenta una sezione a sé l'archivio notarile, ivi compresi i notai della cancelleria inferiore e quelli dell'isola di Creta (Candia), che malgrado le perdite subite si snoda dalla fine del Duecento a un secolo fa, con pergamene sciolte dal sec. XI. Riguardo alla sede, oltre a ripetuti restauri, adeguamenti, cambiamenti nella destinazione d'uso delle varie zone occorsi all'interno del complesso dei Frari - durante l'assedio austriaco del 1849 colpito da 84 proiettili che tuttavia non arrecarono danni al materiale né alle persone - si ebbero nel tempo altre vicende. Nel 1875 l'istituto potè estendersi all'adiacente convento di S. Nicolò della lattuga (S. Nicoletto), anch'esso appartenuto ai minori conventuali. In più occasioni si cedettero invece locali alla parrocchia dei Frari, dove tornarono nel 1922 i minori conventuali. In due distinti periodi (1829-1884 e 1930-1970) ebbe sede nel compendio dei Frari anche l'Archivio notarile distrettuale. Nel 1876-1879 fu assegnata all'Archivio una parte del palazzo dei dieci savi (alle decime) a Rialto con la contigua scuola degli orefici, dove fu aperta una sezione staccata. Detti ambienti vennero però ceduti nel 1925 al magistrato alle acque (ricostituito sul modello dell'antico nel 1907), ricevendo in cambio alcuni capannoni nell'isola della Giudecca - mero deposito, senza alcuna struttura che consentisse il riordino, la ricerca, né qualsiasi utilizzo delle carte - rivelatisi poi a rischio perché contermini a un cantiere navale. Ottenuta negli anni Sessanta un'adeguata sede sussidiaria nell'ex-magazzino tabacchi alla Giudecca, ristrutturato e dotato di uffici e sala di studio, alla fine degli anni settanta si poterono dismettere gli infausti capannoni, trasportando il materiale parte ai Frari, parte nella citata sede sussidiaria, dove attualmente sono conservati i fondi giudiziari dall'inizio dell'Ottocento, quelli delle congregazioni centrale e provinciale del periodo austriaco, quelli della prefettura, della questura e altri archivi moderni. Questa sede è oggi nuovamente in corso di restauro. Nei primi anni ottanta si poté ottenere, per un eventuale ampliamento o per altro uso, l'antistante chiesa già delle benedettine della Croce che era in carico all'amministrazione carceraria [M. P. PEDANI, Notizie storiche e documenti, in Studi veneziani. Ricerche di archivio e di laboratorio, pp. 65-96, cit. in bibliografa] . Nella mareggiata del 4 nov. 1966 l'eccezionale " acqua alta " invase quasi completamente, per la prima volta, il pianterreno dei Frari e di S. Nicoletto, eccettuato il cosiddetto refettorio d'inverno che ospitava le carte del governo austriaco, aggredendo il materiale collocato sul " colto " inferiore degli scaffali, che fu tutto recuperato e riordinato ma non è stato finora restaurato; si tratta di spezzoni di vari fondi ottocenteschi e di un migliaio di protocolli notarili dei secc. XVI-XVIII. Anche a seguito di tale evento maturò il progetto di una diversa sistemazione e utilizzo di talune zone dell'edificio. Fu così ristrutturata l'ala di S. Nicoletto, aumentandone la capienza. Per impulso della direzione dell'Archivio e dell'amministrazione archivistica il grande refettorio conventuale d'estate, aperto sul chiostro della Trinità e già adibito a conservare gli archivi finanziari ottocenteschi (magistrato camerale), completamente alterato all'inizio del secolo per rafforzarne la statica [F. CAVAZZANA ROMANELLI, Storia e restauri, in Studi veneziani... cit., pp. 13-32] , poté essere liberato dalle sovrastrutture e riportato alle originarie linee architettoniche quattrocentesche con un ardito restauro, compiuto negli anni Ottanta dalla soprintendenza per i beni ambientali e architettonici, mentre il magistrato delle acque restaurava gli ambienti contermini, del tutto degradati. Nell'agosto 1989 il refettorio divenne la nuova sala di studio. La scuola di paleografia - attuale scuola di archivistica, paleografia, diplomatica una delle più antiche, fu istituita nel 1854; l'insegnamento fu sempre svolto da archivisti. La sezione di fotoriproduzione venne istituita il 1 genn. 1954. oltre alle riproduzioni di cautela, gradualmente effettuate, delle maggiori serie cancelleresche e il servizio per l'utenza, iniziativa di rilievo tuttora in corso è la ricerca sistematica a tappeto, la schedatura e la fotoriproduzione del materiale cartografico (disegni) esistente in gran copia in moltissimi fondi archivistici, in serie specifiche ed anche nelle filze di documenti [F. ZAGO, " Corpus " cartografico veneziano, in Bollettino della società geografica italiana, s. XI, I (1984), pp. 621-638] . Più limitata per carenza di personale l'attività del gabinetto di restauro, in grado tuttavia di svolgere operazioni di ottimo livello in vari campi. Va infine ricordato che altra documentazione, in originale e in copia, è reperibile a Venezia presso la Biblioteca nazionale marciana, la Biblioteca del civico museo Correr, la Fondazione scientifica Querini Stampalia, nonché negli archivi privati delle casate patrizie, e presso numerose istituzioni culturali anche all'estero. Si avverte che la bibliografia generale che segue è appena indicativa.

 

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Risorse esterne correlate: